IL “MANIFESTO” IPOCRITA DI LANDINI

Foto Lucio da Flikr licenza CC02

DI SERGIO BELLAVITA

Una doppia ipocrisia emerge con nettezza dalla lunga intervista che il quotidiano “il manifesto” ha regalato al segretario della Cgil Landini.

La prima, la più eclatante, quella dell’ex glorioso, eretico e comunista quotidiano di via Tomacelli.

Presentare Landini quale paladino dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori appare persino surreale e grottesco.

Nella lunga storia della Cgil Landini spicca come la più grigia delle direzioni. È un fatto oggettivo. La sua segreteria non solo ha chiuso repentinamente e senza alcuno scambio a favore la lunga stagione di alterità Cgil rispetto al modello propugnato dalla Cisl. Il patto della fabbrica ha segnato l’accettazione integrale da parte della Cgil di quel modello fondato sulla partecipazione alle imprese, sulla complicità di fondo alle scelte padronali, sul welfare contrattuale quale vero e proprio spartiacque rispetto alla concezione stessa dello stato sociale, dei servizi pubblici.

In sostanza Landini ha condotto la Cgil nell’angolo più buio della sua storia. Laddove scompare ogni traccia di protagonismo dei lavoratori a favore della primazia di organizzazione.

Lo testimonia la firma con il governo Draghi del patto sul pubblico impiego chiuso a tavola in maniera conviviale con le delizie della cucina Brunetta.

Patto sottoscritto senza alcun mandato né dei gruppi dirigenti del sindacato né dei diretti interessati, considerati poco più che dipendenti dei segretari generali firmatari.

Un quotidiano non pretendiamo comunista, ma quantomeno rigoroso nella sua attività giornalistica dovrebbe misurarsi con i fatti, non con le illusioni o peggio, appunto, con le ipocrisie di chi non vuol vedere la realtà.

Landini è stato tra i primi e più accaniti sostenitori della elezione di Draghi a palazzo Chigi, e siccome l’azione di governo, almeno sulle materie del lavoro, è stata totalmente condivisa da Landini dovremmo dire che Draghi è già parte del cambiamento verso un nuovo modello di sviluppo, di coesione sociale, di trasformazione della realtà di cui l’intervistatore e Landini parlano a piene mani.

La seconda ipocrisia, più modesta e ormai senso comune, è quella del sindacalista reggiano passato dal No a Marchionne che gli ha regalato una celebrità del tutto immeritata al patto corporativo con Federmeccanica chiudendo il peggior accordo della storia dei metalmeccanici, ovviamente per i lavoratori.

Fatti concreti segnalati persino da Bankitalia nel suo rapporto del 2016 rispetto agli effetti depressivi sull’economia del contratto nazionale metalmeccanici firmato a aumenti salariali pari a zero.

Sarebbe ridondante citare i tanti fatti a corollario di una carriera giocata esclusivamente per le ambizioni personali.

Ci preme sottolineare solo che la bontà di una linea ed una prassi sindacale si misura sui risultati concreti per la condizione di chi lavora.

Landini è uno dei tanti maestri che la sinistra dei salotti ha conosciuto e adorato: Radicalità delle parole e moderazione di bassa cucina nella pratica.

Questa doppia ipocrisia è alla base della scomparsa della sinistra politica e sociale certo insieme ad altri fattori.

Sarebbe ingeneroso addebitare a queste piccolezze cotanto disastro.

Tuttavia se si è reciso drammaticamente ogni rapporto con la classe la responsabilità è esclusivamente dei suoi gruppi dirigenti.

Ancora intenti a guardare il dito mentre la luna fa il suo giro…