FIAC: LE MULTINAZIONALI VINCONO SEMPRE… FINO A QUANDO?

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DI MARCO ODORICI

La vicenda FIAC, azienda storica di compressori con sede a Pontecchio Marconi nel Bolognese, acquistata dalla svedese Atlas-Copco, ci ha mostrato nuovamente il duro volto e l’agire, altrettanto duro delle multinazionali che vengono a fare “spesa” in Italia per poi trasferire le produzioni di un marchio ben avviato all’estero, nei paesi dove la manodopera è a basso costo grazie all’assenza di diritti e sicurezza sul lavoro.

In questo specifico caso, il trasferimento, senza apparente motivo valido, non è verso l’estero (ma non è detta l’ultima parola, visto che nell’accordo ci sarebbero clausole che consentono ai Sindacati di monitorare che non avvenga questa ulteriore delocalizzazione) ma verso una sede già esistente in Piemonte, per la precisione a Robassomero, in provincia di Torino.

Il problema però, che sia verso un altro sito dello stesso paese o verso un paese estero, resta, ossia si va a eliminare da un territorio occupazione e produzione impoverendolo ulteriormente.

Non è un caso infatti che al primo annuncio di trasferimento della produzione, comunicato il 26 maggio dello scorso anno, tutto il territorio in cui la FIAC è collocata (dalle istituzioni ai piccoli commercianti) è sceso a fianco delle lavoratrici e dei lavoratori in lotta.

Ecco in cifre cosa significa la chiusura di FIAC: 121 dipendenti divisi in due divisioni, S.r.L. e PAC. A cui vanno aggiunti 14 dipendenti in staff leasing e 21 in somministrazione, che venivano rinnovati mese per mese. Quindi un totale di 156 occupate/i a cui va aggiunto un indotto quantificabile in circa un altro centinaio di persone.

La lotta alla FIAC ha avuto connotazioni di forte determinazione e ha portato a  36 giornate di sciopero e 53 giornate di presidio permanente. Le lavoratrici e i lavoratori hanno visto la solidarietà fattiva di tutte le associazioni e di tutta la comunità che vive lungo la via Porrettana, la strada che collega Bologna alla montagna. Le serate davanti ai cancelli si trasformavano in momenti di solidarietà anche musicale con la visita di musicisti di caratura nazionale come lo “Stato Sociale”, “Cisco” o i locali “Drunk Butchers”. Anche Ken Loach ha avuto parole di solidarietà verso quella lotta la sera che fu proiettato davanti ai cancelli il suo famoso film “il Pane e le Rose”.

Insomma la vertenza FIAC ha smosso tante coscienze, ha ricevuto tantissima solidarietà ed ha valicato gli angusti confini territoriali andando a raccogliere forza inaspettata come da tempo non si vedeva sul territorio bolognese. Ma tutto ciò non ha smosso di un millimetro la potente multinazionale svedese che, alla fine, ha ottenuto quello che voleva: trasferire la FIAC!

Alla fine, gli stessi comunicati degli enti locali interessati, a partire dal presidente Bonaccini, all’assessore (ed ex sindacalista CGIL) Colla, a quelli stessi del sindacato maggiormente rappresentato in FIAC, cioè la FIOM, sono tutti di rammarico, di rabbia e delusione. E all’unisono sostengono che ora è giunto il momento di fare leggi che inchiodino le multinazionali alle loro responsabilità.

Peccato che questa richiesta venga fatta da anni senza alcun esito poiché la provincia bolognese, come tante altre sparse per il nostro paese, è piena di esempi in cui le multinazionali hanno acquisito marchi più o meno prestigiosi per trasferirne poi la produzione o, quantomeno, ridurne la presenza a livello occupazionale.

Abbiamo il piacere come Union Net di poter rivolgere alcune domande ad una dei Delegati presenti in FIAC che ha seguito sempre in prima persona l’evolversi degli eventi, Barbara Gasparoni.

Innanzitutto ti rivolgo, da parte di tutta la redazione di Union-Net, gli auguri di pronta guarigione visto che purtroppo anche tu in questo momento sei a casa per via del Covid. Tra le altre cose ci dicevi che in FIAC c’è un focolaio in atto che ha coinvolto una cinquantina di dipendenti. Qual è la situazione al momento attuale? Come si è comportata l’azienda di fronte a questa situazione?

Ciao Marco, grazie di cuore per la vicinanza, il Covid è davvero “prepotente”. Detto ciò non mi voglio esprimere, ora, sulla situazione attuale. Posso solo dire che Atlas Copco sta mettendo toppe per gestire il tutto.

 Venendo alla vertenza FIAC ricordo che ci incontrammo l’estate scorsa, subito dopo la firma dell’accordo ponte che vi avrebbe poi portato quest’anno agli incontri di definizione della situazione, e la sensazione già non era delle migliori. La strada della chiusura era probabilmente già tracciata. Nel periodo che va da luglio (firma accordo ponte) a marzo 2021 cosa è stato fatto realmente per far cambiare idea ad Atlas Copco?

A mio modesto parere ci sono state varie situazioni concrete per cercare di fargli cambiare idea: blocco degli straordinari (in FIAC sono sempre state fatte tantissime ore) che per la multinazionale erano un punto fermo su cui contare, incontri al MISE in cui erano stati offerti anche “soldoni” per mantenere aperto il sito (ma loro hanno risposto che non hanno bisogno di soldi, cosa di cui sono veramente convinta), per avere agevolazioni per le altre aziende aperte in Italia. Ma nulla è servito per far cambiare posizione a costoro. Abbiamo avuto un imprenditore che era disposto a “comprarci”, si è provato a fargli cambiare idea nuovamente proponendo soldoni, ma non è bastato. Atlas Copco ha voluto fermamente la nostra morte.

Questa tua ultima affermazione mi porta necessariamente ad un’ulteriore domanda: per quale motivo Atlas Copco avrebbe voluto la vostra morte?

Perché, da ciò che ho capito, nell’ultimo anno noi non siamo mai entrati nella policy della multinazionale, abbiamo sempre mantenuto la nostra identità, e questo li faceva irritare (sottolineo che i fatturati mensili sono sempre stati in forte aumento, anche durante il periodo della pandemia). Quando il 26 maggio, nel pieno della notizia bomba della delocalizzazione, ci ritrovammo al tavolo e l’amministratore delegato ci chiese: “perché fate sciopero? Non capisco”… Io gli risposi che se faceva una chiusura così a Milano o Torino, forse gli andava bene, senza troppi intoppi; a Bologna invece si paga pegno! Noi siamo risorse umane. In queste parole c’è tutto. Ci hanno spolpato come mai si è visto! Con il subentrare della la multinazionale ai vecchi padroni, arrivarono una marea in più di impiegati; dove prima ne avevamo uno ora ne abbiamo due mentre non aumentava il personale in produzione. Hanno iniziato a pagare benefit (case, macchine, scuole, ecc.) e il danno è presto fatto. Abbiamo speso tutto e di più! Ora ci buttano per una incapacità che, chiaramente, non è dei lavoratori!

In seguito all’annuncio di trasferimento, la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori è stata totale e determinata ed avete ricevuto decine e decine di attestati di solidarietà. Quali erano le aspettative all’epoca tra di voi? A fronte della firma che porterà alla chiusura dell’esperienza FIAC che cosa si pensa si sarebbe dovuto fare in più per poter far cambiare questa scelta? La politica, sempre pronta a schierarsi quando si tratta di solidarietà, nel concreto che ha fatto?

La solidarietà è stata davvero tantissima, possiamo solo dire grazie! Non lo dimenticheremo mai. Mi vibra ancora il cuore. La politica si è schierata, certamente, poi non li abbiamo più visti. C’è stato anche un grande nome che mi aveva contattata e poi, puff, è sparito. Ci sta, ormai eravamo diventati un numero, uno dei tanti. Le amministrazioni locali, a cui per tutta l’estate ho bussato alla porta per far conoscere l’accordo di luglio, hanno dato piena solidarietà: il sindaco di Sasso Marconi, Roberto Parmeggiani, ha davvero fatto tutto e di più, non potevamo immaginare che si esponesse tanto e che fosse reperibile per noi h24. Anche la sindaca di Marzabotto collaborava con Parmeggiani. Sono però assolutamente certa che la politica dei “grandi nomi” e dei grandi poteri non voglia assolutamente contrastare tutto ciò. Ha il proprio tornaconto, altrimenti non si spiega perché “le multinazionali facciano sempre così!”  Io non so se si poteva fare davvero di più. Noi in assenza di leggi e regole abbiamo fatto il massimo.

Nel momento di massima vostra pressione nei confronti dell’azienda avete mai pensato di arrivare all’occupazione del sito e, in prospettiva, di creare una cooperativa (o qualsiasi altra entità) per autogestire la produzione?

Abbiamo pensato davvero a tutto, cose davvero molto molto forti, tra cui anche l’occupazione dello stabilimento. Però negli ultimi tempi alcuni lavoratori si erano impauriti e pensavano quindi di accettare la proposta iniziale fatta dalla multinazionale Atlas Copco, l’elemosina. Ciò ci stava un po’ indebolendo. Per molti di noi l’iniziativa dell’occupazione era davvero una vera opportunità, non per tutti però. La paura di perdere tutto era un’arma che Atlas Copco ha utilizzato. Abbiamo pensato anche a una cooperativa, ma molti stanno cercando soluzioni di ripiego e stanno andandosene e chi rimane non avrà mai la capacità di riuscire a stare sul mercato. La concorrenza è spietata ed economicamente abbiamo enormi limiti.

Nell’accordo appena firmato si accenna anche ad una reindustrializzazione dell’attuale stabilimento FIAC. Quanto è credibile questa cosa?

Bella domanda! Non so quanto sia credibile e quanto ciò potrebbe coinvolgere la maggioranza. Sono sempre stata molto speranzosa, anche ora voglio sperare che ciò sia più che credibile, fattibile.

Pontecchio Marconi è inquadrata in una zona premontana, che, come tutti ben sappiamo, dal punto di vista industriale non ha le stesse opportunità o facilitazioni di una classica zona industriale cittadina. In quella zona sono diverse le aziende in crisi, che hanno dovuto ricorrere a interventi importanti di sostegno e che non hanno ancora risolto molto; ricordiamo la Saeco, la cui proprietà è della Philips, o della ex Arcotronics, ora Kemet, multinazionale americana. La vicenda FIAC va ad inserirsi nella situazione già pesantemente critica di quella zona: tu che vivi lì, che percezione hai della ricaduta di questa ennesima tegola su questa area?

Sarà una botta davvero forte per questo territorio. Non dimentichiamo che i nostri fornitori/montatori esterni, molti dei quali lavorano solo per FIAC, hanno dipendenti. Il territorio su cui noi investiamo tanto avrà forti ricadute in un momento storico già atroce. Già ora alcune piccole attività non riescono a superare questi lockdown e chiudono; noi che avremmo potuto continuare vista la mole di lavoro, chiudiamo creando una voragine sempre più larga. 

E’ da diverso tempo che sei delegata in FIAC, una situazione come questa però non l’avevi mai vissuta in prima persona; cosa ti ha lasciato questa esperienza? Quali sono le tue prospettive per il futuro, sia personali che lavorative?

Sono RSU da più di 20 anni… la Gasparoni, una rompicxxxxi! Ma mai avrei pensato di trovarmi a 50 anni appena fatti di dover fare i conti con un mercato del lavoro che non accetterà mai una madre single, con figlia disabile a carico e a cui spesso non bastano i giorni della 104, perché i ricoveri o gli esami che deve fare sono molto invasivi. Una  malattia rara è ciò che non si augura a nessuno al mondo. Io sono fuori da ogni opportunità. Ho finito. E te lo dico con le lacrime agli occhi. Ho sempre lavorato fin da quando andavo a scuola, a conti fatti avrei meno di 10 anni per la pensione e invece…

La tua risposta, che non nasconde la drammaticità di ciò che questa chiusura comporterà, ci porta ad un’ulteriore domanda: in FIAC ci sono moltissime donne come occupate: che tipo di prospettiva c’è per loro?

Per molte donne in FIAC ci sarà il baratro, vuoi per età, o per i figli, o per le malattie professionali… E poi la donna, attaccata da più di  vent’anni ad una linea di montaggio dove ha passato più tempo che a casa, che vuoi che trovi là fuori? Chi ti prende? Obiettivamente, non essendoci obblighi per le aziende di fare negli anni corsi di lingue o formazione mirata, per soggetti come noi, che oggi sono ritenuti “fragili” cioè finiti, che vuoi che ci sia? Neanche la sfoglia riusciamo più a fare! Eppure vogliamo credere che una possibilità ci sia.

Come in qualsiasi intervista che si rispetti, a te la facoltà di dire ciò che ritieni più opportuno a riguardo di questa vicenda.

Non credo saranno fatte leggi che vadano contro interessi delle multinazionali, perché la politica tutela i loro interessi. Spero di sbagliare, magari da qui a 5 anni sarà messo qualche paletto, ma nel frattempo quante FIAC dovranno esserci? Ho una rabbia che non è quantificabile. FIAC resterà un esempio di lotta, di unione, di forza, di solidarietà, di paura e di rabbia. Ma anche un esempio di un ennesimo fallimento politico. Grazie a te e voi di Union-net della vicinanza, della disponibilità e dell’opportunità di parlare ancora di noi della FIAC. Grazie davvero di tutto.

Ringraziandoti della disponibilità che ci hai dato ti facciamo il nostro più grande “in bocca al lupo” affinché la tua situazione, personale e lavorativa, si incanali in una tranquillità necessaria e doverosa. Dal punto di vista prettamente politico sindacale, ringraziamo te ed i tuoi colleghi per la determinazione che avete dimostrato nel periodo di presidio ai cancelli, perché in quel frangente avete dimostrato che la lotta operaia per la difesa dell’occupazione si può e si deve fare. Crediamo, purtroppo, che le rivendicazioni e le successive azioni portate avanti dalle organizzazioni sindacali non siano improntate a raggiungere una vera vittoria ma semplicemente a gestire, in nome di una presunta pace sociale, la situazione con il minor danno possibile… Questa, a nostro avviso, è la strada più rapida per distruggere l’unità tra i lavoratori e per impedire una presenza di un sindacato sui luoghi di lavoro che sia veramente espressione delle esigenze e delle rivendicazioni delle lavoratrici e dei lavoratori.

Quello che pensiamo e che vorremmo lanciare come grido in risposta a questa deriva è: riprendere la lotta e non lasciare nulla di intentato per salvaguardare i posti di lavoro. Oltre al fatto che se le leggi per fermare le multinazionali non ci sono ci devono pensare le lavoratrici ed i lavoratori con l’azione diretta tesa a mantenere in loco l’attività lavorativa, con ogni mezzo necessario!


Sintesi dei punti dell’Accordo del 5 marzo 2021

(fonte Bologna Today)

  • Utilizzo della cassa integrazione straordinaria (CIGS) per cessazione per la durata di 12 mesi a partire dal 1-7-2021;
  • Garanzie precise per i lavoratori di FIAC PAC (Professional Air Compressors) una volta che la produzione sarà stata trasferita, di individuare la nuova sede di lavoro per loro (circa 32 dipendenti) entro i 25 km dall’attuale, e nel caso di ristrutturazione la garanzia economica per almeno tre anni;
  • Un contributo economico di 12.000 euro e il mantenimento dello stato attuale di rapporto di lavoro (anzianità e stipendio) per i lavoratori che volontariamente decidano di trasferirsi a Torino;
  • In caso di mancata conferma i lavoratori in staff leasing ancora dipendenti dell’agenzia di somministrazione riceveranno, dopo 60 giorni dalla cessazione in FIAC, una indennità di 12.000 euro;
  • Conferma che le attività di logistica saranno mantenute sino alla chiusura del sito (presumibilmente febbraio 2022) con l’impegno di non licenziare i lavoratori della cooperativa di logistica e comunque utilizzare ammortizzatori sociali conservativi;
  • Messa a disposizione di tutti i lavoratori di FIAC srl, ad eccezione dei prepensionandi, di un qualificato servizio di ricollocamento (outplacement), a carico di FIAC;
  • Condivisione di un sistema di incentivazioni all’esodo che prevede l’accompagnamento alla pensione senza penalizzazioni economiche per chi nei 3 anni matura i requisiti e un incentivo economico di 70.000 euro per tutti i lavoratori che non raggiungono la pensione (maggiorato di ulteriori 5.000 euro se il licenziamento avverrà al termine della cassa integrazione e quindi il 30 giugno 2022). Viene inoltre previsto un meccanismo che permette ai lavoratori di utilizzare, su base volontaria, una parte dell’incentivo ricevuto (10.000 euro) per favorire la propria rioccupazione (cioè pagando chi li riassume, NdR) ed eventuali progetti di reindustrializzazione. A tal proposito già dai prossimi mesi sarà necessario esaminare tutte le strade per favorire una reindustrializzazione del sito ex FIAC di Pontecchio;
  • Introduzione di una clausola di verifica, che permetta alle organizzazioni sindacali e alle istituzioni di verificare entro giugno 2022 che le produzioni oggi realizzate a Pontecchio e oggetto del trasferimento, siano effettivamente collocate nello stabilimento ABAC di Torino e non vengano invece spostate in paesi a basso costo del lavoro (ad esempio nello stabilimento in Cina).