ERA UNA FICTION MA IL LICENZIAMENTO E’ VERO

IL CASO DEL LAVORATORE SANZIONATO DA ARCELOR-MITTAL RIAPRE LA QUESTIONE DELL’OBBLIGO DI FEDELTA’, GIA’ EMERSA QUALCHE ANNO FA NELLA FCA DI POMIGLIANO. UNA NORMA FASCISTA IN STRIDENTE CONTRASTO CON LA COSTITUZIONE

Immagine propria licenza CC 2.0 citando Union.net

DI DOMENICO DE STRADIS

Naturalmente ci auguriamo che la battaglia giuridica di Riccardo Cristello, il lavoratore licenziato da ArcelorMittal a causa di un suo post su Facebook, finisca a suo favore, con l’auspicio che questa battaglia serva in futuro a tutta la classe operaia, non tanto perché si dimostri che quanto scritto su Facebook non ha leso l’immagine del padrone ma perché si affermi che un lavoratore ha il diritto di criticare anche il proprio padrone, tanto quanto e anche più di un qualsiasi libero cittadino. Questo è un controverso aspetto costituzionale che è quanto mai necessario affrontare e risolvere.

Quando, nel 2014, cinque compagni di Pomigliano vennero licenziati per aver simulato il suicidio di Marchionne durante una manifestazione, due anni dopo la Corte di appello diede loro ragione, reintegrandoli, ma poi, successivamente, la Corte di cassazione decise di annullare il reintegro, punendoli così con il massimo della pena a disposizione del padrone, il licenziamento.

La costituzione italiana, che certo non è stata scritta a tutela degli interessi della classe operaia, quantomeno garantisce il diritto alla libertà di espressione, ma allo stesso tempo nulla si dice sul cosiddetto “obbligo di fedeltà”, cioè quel vincolo che impone al lavoratore, anche fuori del suo orario di lavoro, di non fare nulla che possa “recare pregiudizio” all’impresa. Questo vincolo, imposto dall’art. 2105 del Codice Civile, adottato nel 1942, quindi sotto il regime fascista, è in evidente contraddizione con la Costituzione del 1948 che all’articolo 21 recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

Il caso di Pomigliano, perciò, finì in mano alla cassazione, che interpretò la norma secondo gli interessi del padrone, dimostrandosi così uno strumento del capitale.

Si trattò di un primo grave attacco alla libertà di critica perpetrato a danno dei lavoratori, e si creò così il famoso precedente, in base al quale poi si sono susseguite decine di condanne nello stesso senso.

Ecco perché siamo convinti che vada messa in discussione la legge e non cosa abbia fatto il lavoratore; va rigettata l’idea che quest’ultimo non possa criticare il proprio datore di lavoro. Le lavoratrici e i lavoratori  firmano un contratto che prevede un impegno lavorativo per otto ore al giorno, non certo la “fedeltà” al padrone su tutto per tutte 24 ore del giorno.

Ci auguriamo dunque che Riccardo lotti insieme ai suoi colleghi non per il semplice reintegro, che peraltro, in particolare nel caso dell’ex-Ilva, rischia di essere il diritto di rientrare in una fabbrica killer, nella quale rischia ogni giorno di ammalarsi…

Ci auguriamo che finalmente a Taranto si lotti per la chiusura definitiva di quel posto che ogni anno ammazza decine di persone, sia perché quel posto cade a pezzi sia perché ci si ammala di cancro a causa delle polveri sottili… Speriamo che Riccardo e tutti i lavoratori dell’ex-Ilva lottino perché nessuno varchi più quei cancelli della morte, perché venga riconosciuto loro un salario pieno per tutta la vita, come risarcimento per l’enorme danno subito in tutto questo tempo.

Un’ultima riflessione sull’utilizzo che la TV di stato fa di certi avvenimenti (compresa Mediaset è anch’essa una TV di stato): come mai hanno prodotto una fiction che va contro l’immagine di un padrone se loro stessi sono strumento del padrone?

Evidentemente il sistema capitalistico ha tutto l’interesse affinché passi la l’idea che a Taranto si possa lavorare in sicurezza (infatti nel film non si chiede la chiusura della fabbrica ma solo la bonifica), quando tutti noi sappiamo che quella fabbrica non può che essere chiusa.

Ci domandiamo, faranno mai un film sulla vita di qualche industriale italiano, in cui verrà raccontata la storia di una qualche famiglia che per più di un secolo ha beneficiato del patrimonio economico nazionale per interessi personali, o che venga raccontato che ancora oggi esistono capannoni di proprietà di multinazionali ancora utilizzati dove c’è l’amianto?