L’ACCORDO DI MELFI, PRIMO TASSELLO DELLA STELLANTIS IN ITALIA

DI FABRIZIO BURATTINI

Come sono soliti fare da decenni, anche ieri i sindacati metalmeccanici di CGIL, CISL e UIL (assieme anche ai sindacati gialli FISMIC, UGL e dell’associazione Quadri), hanno emesso un comunicato trionfalistico per annunciare l’accordo stipulato a Melfi sulle prospettive di lavoro per lo stabilimento lucano.

Se dessimo credito a tutti i comunicati entusiastici pubblicati dai sindacati negli ultimi anni saremmo spinti a pensare che la classe lavoratrice nel nostro paese si trova nelle migliori condizioni. Ma le lavoratrici e i lavoratori hanno ormai imparato a loro spese quanto sia falso e segno di debolezza il tono monotonamente ottimistico delle valutazioni delle direzioni confederali e quanto sia solo utile a cercare di nascondere i loro cedimenti e le loro complicità con il padronato.

Peraltro è già significativo lo schieramento. La valutazione dell’accordo viene fatta unitariamente dalle direzioni dei metalmeccanici confederali assieme al sindacato in odore di neofascismo UGL e a quelli dichiaratamente filoaziendali FISMIC e AQCF. Mette insieme quelli che hanno firmato già dal 2010 il CCSL dettato da Marchionne con la FIOM che ancora, seppure ormai solo formalmente, ne è restata fuori.

Il contenuto dell’accordo è la presa d’atto da parte sindacale del primo tassello del piano industriale che Stellantis (cioè il nuovo gigante dell’auto sorto dalla fusione tra la Peugeot e la FCA) propone per gli impianti italiani, a partire da quello di Melfi.

L’accordo, peraltro già illustrato una settimana fa al ministro dello Sviluppo economico Giorgetti, ipotizza per il 2024 la produzione in quello stabilimento di 4 nuovi modelli di auto elettriche e la collocazione a Melfi di uno dei siti di assemblaggio delle batterie elettriche (cosa che rischia di annullare la prospettiva che vengano prodotte a Torino); nel frattempo a Melfi si continueranno a produrre le auto già previste nel piano industriale FCA 2018/2022.

Le due linee di produzione attive nello stabilimento lucano verranno ridotte ad una sola, che adotterà un “nuovo layout”, anche se il volume produttivo dovrebbe restare quello attualmente  garantito dalle due linee. Il fatto che questa pesante ristrutturazione produttiva venga definita nell’accordo “evoluzione organizzativa” non riesce a mascherare il fatto che su quella unica linea si ammasseranno migliaia di operai con ritmi di produzione ancor più disumani di quelli attuali, pretendendo che a fine giornata si faccia la stessa produzione fino ad oggi realizzata su due linee. Come e più di oggi l’ “evoluzione organizzativa” significherà intensificare il lavoro, ritornare ai venti turni settimanali, passare i fine settimana in fabbrica per poi periodicamente mettere i dipendenti in cassa integrazione.

Non potendo nascondere la crisi di mercato che colpisce l’auto e i ritardi accumulati da FCA nella riconversione verso l’elettrico, nell’accordo si prevede l’utilizzazione di un contratto di solidarietà (cioè della cassa integrazione a rotazione prevista dalla legge 863) per il 45% della manodopera. L’azienda dichiara che non ci saranno esuberi strutturali, ma immediatamente si contraddice perché l’accordo prevede un significativo incentivo all’esodo, evidentemente finalizzato a smaltire gli esuberi appena negati. Allo stesso fine si preannunciano nuovi incentivi per le “trasferte verso altri stabilimenti italiani ed europei del gruppo Stellantis” (non a caso, proprio in queste ore, alla Sevel di Atessa 60 dei 117 contratti interinali in scadenza non saranno rinnovati). Dunque uno stock significativo di lavoratrici e lavoratori ritenuti in esubero dall’azienda che verranno invitati ad andare in pensione, a dimettersi o ad accettare di andare a lavorare a centinaia di chilometri di distanza. Nell’accordo sparisce qualunque traccia del tanto sbandierato “ricambio generazionale” di cui si era molto parlato nei mesi scorsi: le operaie e gli operai che se ne andranno non verranno sostituiti da nessuno, con il risultato di impoverire ulteriormente l’occupazione nell’estremo sud del paese, per sostenere la quale lo stato, negli anni 90 del secolo scorso, regalò alla Fiat il contributo di una cifra che oggi sarebbe pari a quasi un miliardo di euro (secondo le stime della Cgia di Mestre).

L’accordo, peraltro, oltre a prevedere una significativa contrazione dei livelli occupazionali, finge di ignorare le ricadute sull’indotto prodotte dall’ipotesi di Stellantis di utilizzare gli spazi e le strutture liberate dall’eliminazione di una delle due linee per assemblare in loco le batterie che si era precedentemente pensato di far produrre in altre aziende della zona.

Si afferma che sarà “garantita a tutti i lavoratori la maturazione dei ratei e gli altri istituti di legge che permettono il superamento delle perdite salariali”. I sindacati firmatari dell’accordo presentano questa clausola come una “conquista storica”, ignorando che le maggiori perdite salariali sono sulla paga base, grazie ai lunghi periodi di cassa integrazione, capaci di dimezzare il reddito delle lavoratrici e dei lavoratori.

La prossima settimana i sindacati firmatari presenteranno l’accordo alle lavoratrici e ai lavoratori di Melfi. Riusciranno a far passare le loro letture trionfalistiche o le assemblee riusciranno a scoprire quel che c’è sotto?