INTERVISTA COLLETTIVA SULLA SITUAZIONE IN FCA

Von Alexander Migl - Eigenes Werk, CC BY-SA 4.0, Link

DI FABRIZIO BURATTINI

Dieci anni fa (per l’esattezza il 15 giugno 2010) veniva stipulato un accordo separato tra la FIAT da un lato e dall’altro Fim-Cisl, Uilm, Ugl e Fismic, un accordo separato che, con lo specchietto per le allodole di un’ipotesi di raddoppio delle produzioni di auto negli stabilimenti italiani, stabiliva un pesante ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro per i dipendenti: 20 turni settimanali di 8 ore dal lunedì al sabato compreso, un incremento della flessibilità, una nuova metrica nell’organizzazione del lavoro, una dura ridefinizione delle regole per le malattie, i permessi, le ferie e i diritti sindacali.

Visto che questa “ricorrenza” coincide in qualche modo con la messa in linea di questo nuovo sito, abbiamo voluto non tanto ricostruire quel che avvenne dieci anni fa, ma che cosa accade oggi negli stabilimenti della FCA (come si chiama oggi la Fiat dopo la fusione con la Chrysler americana). Tanto più perché è alle porte la tanto discussa ulteriore “fusione” tra FCA e PSA (il gruppo francese di Peugeot). E lo abbiamo chiesto ad alcuni operai che hanno vissuto quella fase e che ancora oggi lavorano nella stessa azienda. Si tratta di Stefania Fantauzzi (della FCA di Termoli), di Pasquale Lojacono (della FCA di Torino-Mirafiori) e di Mimmo De Stradis (della FCA di Melfi).

 

“Marchionne, facendo passare il suo progetto ‘Fabbrica Italia’ (così si chiamava il suo piano)”, ci dice Mimmo De Stradis della FCA di Melfi “ha vinto e ha stravolto per sempre il modello di relazioni sindacali che vigeva da anni nell’azienda e più in generale nell’industria manifatturiera italiana. E non lo ha fatto solo nei confronti di chi non volle firmare allora quell’accordo, ma nei confronti del complesso del sindacalismo. Il problema è che, dopo il pur discreto risultato dei referendum sull’accordo, una vera lotta contro quel progetto non si è fatta. Il paradosso è che l’unico che ha beneficiato della vertenza contro quel progetto è stato l’allora segretario generale della Fiom Cgil, Maurizio Landini, che ha raggiunto la sua notorietà proprio in quella vicenda, notorietà che lo ha condotto, anni dopo, alla promozione a segretario generale della Cgil. Sono pochi quelli che conoscono i punti salienti del CCSL (il Contratto Collettivo Specifico di Lavoro) allora stipulato, ma tutti conoscono Maurizio Landini. Quella che doveva essere una lotta negli stabilimenti, sulle linee di montaggio, dei delegati e degli operai è diventata soprattutto una lotta mediatica e giudiziaria, che non è riuscita a scalfire neanche in minima parte i contenuti dell’accordo”.

 

Stefania Fantauzzi, esponente dell’Usb della FCA di Termoli, rincara la dose: “E’ proprio l’incipit del CCSL che proclamava la produttività come preoccupazione principale delle relazioni industriali e obiettivo comune tra sindacati e azienda. Dunque i lavoratori chiamati a sacrificare diritti, condizioni di lavoro libertà e salari in nome della competitività della FCA”.

 

Pasquale Lojacono, della Fiom delle Carrozzerie della FCA di Mirafiori, ci dice: “A Torino siamo rientrati a lavorare a pieno ritmo un paio di mesi fa, a settembre, dopo 11 anni di cassa integrazione quasi ininterrotta. Ora produciamo la nuova ‘Cinquecento’. In questi anni abbiamo vissuto il piano Marchionne e tutto quello che è avvenuto dopo quasi sempre fuori dello stabilimento. Ma le Carrozzerie di Mirafiori, al momento del referendum sull’accordo con Marchionne (gennaio 2011), contavano 5.300 lavoratori, oggi ne vedono solo 2.700”.

“In questi ultimi tempi, per poter produrre la Cinquecento, FCA è stata costretta a prendere dei giovani operai, con contratti interinali di uno o due mesi. Tieni conto che l’età media delle Carrozzerie di Mirafiori (è così un po’ in tutto lo stabilimento) è di 53 anni. Molti operai non hanno tutte le idoneità per lavorare alla linea e così FCA si è rivolta alle sue agenzie di interinali. Poi ci sono lavoratori che arrivano dalla ex-Bertone. Altri sono in distacco dalla CNH (che, sia detto tra parentesi, è uno stabilimento che non produrrà più i trattori e diventerà, ben che va, un reparto di logistica aziendale, con un ulteriore taglio all’occupazione)”.

“L’accordo capestro del 2010 ha peggiorato le condizioni in fabbrica in modo verticale. Ed è stato fatto ‘digerire’, a poco a poco, ai lavoratori, anche sfruttando la situazione di prolungata cassa integrazione. C’è stata una parziale ripresa produttiva con l’avvio della linea della ‘Maserati Levante’, il nuovo SUV, ma solo per una parte degli operai. Probabilmente se, subito dopo il referendum del gennaio 2011, si fosse stati tutti in fabbrica, ci sarebbe stata la possibilità di un conflitto di fronte a condizioni di lavoro che sono diventate drasticamente molto più pesanti”.

“Quel che resta delle Carrozzerie è una produzione bassa della Levante, che lavora su 5 giorni, con un solo turno, per fare ogni giorno 54 vetture, e una produzione della Cinquecento elettrica che fa circa 150 vetture a turno, su due turni. Si è importato un altro lavoro, con un reparto creato ad hoc, per lavoratori sindacalizzati e per colleghi parzialmente inidonei (circa 125 operai), che fanno le mascherine chirurgiche su una commessa governativa. Ne ha parlato anche la stampa, anche perché sembra che siano fatte male, rispetto ai parametri sanitari”.

 

“Non dimentichiamoci”, ricorda Stefania, “che il premier Conte, quando, giusto un anno fa nel novembre 2019, fece visita per esempio alla FCA-Sata di Melfi (dilaniata dalla cassa integrazione e da migliaia di esuberi dichiarati), nonostante l’evidenza del dramma, e in totale continuità con la politica del passato, giudicò positivo il modello di fabbrica scaturito dal ‘piano Marchionne’, che ha cancellato decine di migliaia di posti di lavoro in un decennio e che ha determinato tante malattie professionali, in tutti gli stabilimenti Fca italiani”.

“Mesi fa Marco Revelli, storico, sociologo e giornalista”, continua Stefania,  “riportava sul ‘Manifesto’ le cifre della diminuzione del numero di dipendenti FCA in Italia, che, secondo le sue stime, sarebbero passati dai 120.000 del 2000, ai 29.000 del 2018. Qualche giorno dopo l’ufficio stampa di Fca correggeva un po’ le stime di Revelli, ma non poteva non ammettere una colossale riduzione. E oggi, due anni dopo, il dato può solo essere peggiorato e, con queste prospettive, essere destinato a peggiorare ulteriormente. Il declino di FCA non è dovuto alla sfortuna o a particolari errori di gestione”.

“E’ la conseguenza voluta e costruita a tavolino del ‘piano Marchionne’. La situazione dello stabilimento di Termoli è coerente con questo quadro. Da 10 anni rincorriamo falsi proclami, promesse di nuovi modelli, che dovrebbero portare ‘piena occupazione e salari tedeschi’. Produciamo cambi e motori, che montiamo su diversi modelli di vetture. Siamo fornitori per gli stabilimenti che producono carrozzerie in Italia, in Europa in giro per il mondo. Nello stesso stabilimento convivono più officine di lavorazione e di montaggio, ognuna coi propri ritmi ed orari, a seconda di quanto lo specifico prodotto tiri sui mercati. Faccio alcuni esempi, anche se mi riferisco alla situazione pre-Covid, perché ora è tutto più confuso”.

“Il reparto M40 produce un cambio per grandi vetture. Dà lavoro a 100 persone scarse. È in forte crisi”.

“Il V6 ed il T4 sono le officine di produzione dei motori di nicchia per la “Giulia” e la Maserati. Marchionne, nel 2014 annunciò grandiose prospettive per Termoli, arrivando un giorno a sorpresa in elicottero, accolto dal plauso di (quasi) tutti. Questi nuovi motori, avrebbero dovuto dare respiro rispetto alle aree in dismissione. Ad oggi, il V6 impiega meno di 100 addetti, il T4 circa 400. Sono aree chiuse persino alle rappresentanze sindacali firmatarie. Occupano in gran parte operai giovanissimi, ricattati dal jobs act, terrorizzati, a cui sembra che si sottraggano pause, ferie e si imponga loro di stare spesso oltre l’orario ed oltre i giorni consentiti. Si vocifera di un numero abnorme di infortuni”.

“Il 16V produce un motore che dà lavoro a quasi 300 persone, ma che non ha prospettive di fronte alle nuove leggi sulle emissioni. Soffre pesanti periodi di cassa integrazione da più di un anno”.

“I vecchi cambi (C520 e C510) e il vecchio motore (8V), impiegano il maggior numero dei dipendenti, (più di 1.000 in totale). Ma visti i prodotti e le linee vetusti, non danno prospettive occupazionali e di continuità. Si lavora, e si è lavorato infatti, per esaurire tutto il materiale in magazzino o in arrivo e per qualche commissione richiesta da paesi che non applicano i trattati contro le emissioni (ad esempio Turchia e India). I reparti dei servizi ed i magazzini in percentuale subiscono le stesse sorti delle aree a cui sono collegati”.

“Praticamente, in tutte le aree o facciamo cassa integrazione, o vediamo la riduzione dei turni o i tagli del personale o tutte e tre le cose insieme”.

“A Termoli, ma so che accade in tanti altri siti FCA, nell’ottica di ‘ottimizzare le spese’, ci fanno lavorare come asini, addirittura chiedendo di venire a lavorare in straordinario (cioè pagati di più) nelle stesse settimane in cui facciamo la cassa integrazione. E’ una delle tante ‘stranezze’ e assurdità di questa fase di crisi: non oso sperare in una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, ma, anzi, invece di favorire i part-time per redistribuire il lavoro, bloccano addirittura il rinnovo di quelli già esistenti per le mamme”.

 

Pasquale di Mirafiori aggiunge: “L’organico così risicato nel nostro stabilimento ha imposto vari straordinari di sabato. Si sono fatti tre sabati consecutivi ad ottobre sulla linea della Levante. Ora la Levante non ne fa più ed iniziano i sabati straordinari cosiddetti obbligatori sulla linea della Cinquecento. Obbligatori perché il contratto ormai prevede la possibilità per l’azienda di comandare fino a 15 sabati per anno. E’ una delle tante concessioni fatte al padrone all’interno del CCSL che, nei fatti, azzera la possibilità di vere assunzioni. Perché per produrre queste vetture, in realtà, occorrerebbe un vero incremento di organico, con l’assunzione di giovani, perché la forza lavoro FCA, che come ti dicevo ha una alta età media, non ce la può fare a produrre a quei ritmi. L’aver dato a FCA carta bianca per gestire fino a 15 sabati obbligatori, per di più senza avere nulla in cambio, ti impedisce perfino di rivendicare vere assunzioni. Ci dicono, come dicono sempre, che la Cinquecento ha più ordinazioni di quelle che si attendevano, ma noi non ci crediamo. D’altra parte l’avevano detto anche per la Giulia, per tante altre vetture. Per giustificare gli straordinari, almeno al sindacato gliela devono raccontare così”.

 

Ma, riprende Mimmo di Melfi: “Anche grazie al fallimento della iniziativa di contrasto a Marchionne, oggi la stragrande maggioranza dei dipendenti FCA non crede più nelle iniziative sindacali. Ed è stato difficile per me e per le altre compagne e gli altri compagni che hanno voluto dare vita all’USB alla FCA di Melfi ripartire dopo quella vicenda e le delusioni di massa che ha comportato. D’altra parte, durante la vertenza non è stato fatto nulla, veramente nulla, neanche un’ora di sciopero da parte dei sindacati firmatari (ovviamente) ma neanche da parte della Fiom, per dare spazio al protagonismo dei lavoratori. La vertenza, forse, ha avuto un po’ più sostanza solo a Pomigliano, ma anche là, non appena è finita la campagna mediatica tutto si è spento”.

“La vera sconfitta, dunque, non è stata tant il CCSL in sé, ma la disillusione che regna tra i lavoratori. I lavoratori non credono più nella lotta collettiva. Lo strumento principe dello sciopero è stato utilizzato poco e malissimo. Voglio sottolineare questo dato. Si è pensato e praticato il fatto che le relazioni sindacali si esercitano al massimo nelle aule dei tribunali, ma non con l’azione dei lavoratori. E la vertenza è stato lo strumento con cui alcuni delegati, facendosi funzionarizzare dal sindacato, se ne sono andati dal posto di lavoro”.

 

E la partecipazione alle assemblee come va?, chiediamo. “Guarda, ti do un dato”, ci dice Mimmo, “l’ultima assemblea indetta dalla Fiom qui a Melfi un paio di settimane fa ha visto presenti non più di 70-80 operai, su un’azienda di oltre 7.000 dipendenti. La stessa Fiom ha ammesso che il risultato di quella assemblea è stato una sconfitta. Anche in termini di adesioni, i sindacati firmatari del CCSL stanno perdendo iscritti, penso che siano tutti sotto i 1.000 (alcuni di loro erano a quasi duemila tesserati). La Fiom, dopo la crescita importante che aveva conosciuto con la vertenza contro Marchionne, oggi è ritornata più o meno ai livelli del 2010. Credo che abbiano a malapena un centinaio di iscritti. Tutta la vertenza non le ha dato nulla in termini di nuove adesioni stabili”.

“Purtroppo Usb a Melfi, diversamente dagli altri siti Fca, ha perso la causa per l’articolo 28 e per il riconoscimento delle tessere e questo ci impedisce un consolidamento degli iscritti. Ma la vertenza di Melfi ci ha aiutato a crescere in tutto il territorio, nell’indotto, perfino nell’altra provincia, quella di Matera. Oggi, Usb, tra i metalmeccanici lucani è passata da non più di 10 iscritti a parecchie centinaia, con parecchi delegati d’azienda, svariati Rls, Rsu. Abbiamo fatto tesoro dell’esperienza di tutti i sindacati di base, dimostrando che fare sindacato dalla base non è un’azione da pazzi. Facciamo azioni sensate, denunce chiare. Nessuno contesta la nostra scelta di avere costruito Usb in azienda e sul territorio. Certo, magari i nostri iscritti pagano il prezzo della propria scelta essendo collocati nelle postazioni più disagiate, ma sanno che la nostra azione è stimata, i mass media locali non snobbano più i nostri comunicati, li pubblicano puntualmente. La stessa azienda non ci prova nemmeno più a contestare la legittimità delle nostre iniziative, degli stessi scioperi sugli straordinari o sulle domeniche comandate. Paradossalmente, negli ultimi tempi l’unica contestazione è stata fatta a dei delegati Fiom che avevano aderito ad un nostro sciopero, per cercare di metterli in contraddizione, chiedendogli conto del perché aderissero all’iniziativa di un’altra sigla”.

 

Stefania, a questo proposito ci racconta: “Io ho iniziato a militare sindacalmente proprio nel 2010, al momento dell’operazione Marchionne, pensando: ‘se non ora quando?’. La Fiom, nella quale militavo all’epoca, vinse la causa contro la sua esclusione dai diritti sindacali e io venni eletta RLS. Ma non sono mai riuscita a svolgere effettivamente i miei compiti come rappresentante per la sicurezza, non mi è stata mai data la chiave della saletta o l’accesso ai documenti, a partecipare realmente a nessun incontro, a nessuna trattativa. Marchionne, prima ancora di Fornero e Renzi, ha cancellato tutto lo statuto dei diritti dei lavoratori”.

“Peraltro, la Cgil rifiutò di firmare il contratto Marchionne, ma poi sottoscrisse l’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 che andava nella stessa direzione, impedendo la libertà del lavoratore di scegliere chi voleva a rappresentarlo”.

“Se rileggi lo statuto del 1970, ti sembra di leggere una cosa che sta sulla luna. Ora in più ci si è messo anche il Covid: non puoi fare le assemblee, non puoi andare alle bacheche sindacali, non puoi dare volantini. I sindacati firmatari ormai fanno le assemblee via internet, sul portale FCA, senza possibilità di intervento dei lavoratori. Devi iscriverti al portale, l’assemblea diventa l’assemblea dell’azienda. Non è diverso dai comunicati della direzione aziendale”.

“Per non parlare del concetto di militanza, altrettanto cancellato. Complessivamente tutto ciò che riporta al concetto di sindacato come l’abbiamo conosciuto e praticato per anni e anni. E non riguarda solo i sindacati ‘conflittuali’. Se un giorno anche la Fim-Cisl volesse fare un’azione a difesa dei lavoratori non potrebbe farla”.

“Non dispongo dei dati della sindacalizzazione nello stabilimento di Termoli, ma sono certa che siamo ai minimi storici. E chi si iscrive oggi lo fa solo perché così i firmatari possono contrattare di inserire il suo nome nella lista di quelli che sono esclusi dalla cassa integrazione. La stessa azione di costruzione di una proposta sindacale alternativa è ostacolata dalla paura non tanto del padrone, ma del sindacato firmatario che poi te la farebbe pagare. Se sei iscritto ti faccio fare perfino gli straordinari, se no ti faccio mettere in cassa”.

“Con il risultato che FCA può mettere in cassa metà azienda e far pagare quei dipendenti dall’INPS, mentre l’altra metà fa gli straordinari, nella connivenza più generale”.

“Una delle conseguenze più rilevanti che il ‘piano Marchionne’ ha comportato a Termoli è un abbassamento ulteriore del già basso livello di sindacalizzazione e del livello di consapevolezza tra i lavoratori. I lavoratori si difendono, sono costretti a difendersi dal padrone ogni istante, ma si difendono da soli, con un livello di rabbia che viene covato individualmente, contro il capo reparto, che mi fa andare la domenica pomeriggio, che non mi dà i permessi che mi spettano, che mi mette in cassa integrazione se mi ammalo anche solo un giorno”.

“Nessuno, tranne pochi (e noi tra questi), ha opposto una reale resistenza a questo progetto, né i sindacati confederali, né i partiti politici, tutti genuflessi a Marchionne e ad Elkann. Non lo hanno fatto nei dieci anni dal CCSL ad oggi e non lo stanno facendo oggi.

I sindacati firmatari (che sono gli unici ad avere il diritto di farlo) rinunciano perfino ad organizzare le assemblee. Gli anni si chiudono sempre con un ampio credito di ore da parte dei lavoratori, come se non ci fosse nulla da chiarire, nulla da organizzare, tanto più in questo periodo di generalizzato rischio di contagio”.

“Oggi, a differenza del passato i livelli di conflittualità tendono ad azzerarsi. E non possiamo solo parlare dei sindacati firmatari, dato che anche la Fiom non ha voluto dare nessun seguito alla sua formale opposizione al ‘piano Marchionne’. Anzi, qui ricordo la vicenda che ha coinvolto alcuni di noi, Landini e il suo gruppo dirigente hanno voluto bloccare le iniziative che noi delegati d’azienda mettevamo in piedi contro gli straordinari e contro le domeniche comandate…”.

 

Pasquale dice la sua su questo punto: “E’ difficile dare una valutazione complessiva su quale sia ad oggi lo stato del rapporto tra lavoratori e sindacati. Complice il Covid, è ancora più difficile fare assemblee. La Fiom ne ha fatta una all’aperto pochi giorni fa, con una partecipazione decente, peraltro ostacolata dall’ubicazione dell’area scelta. Ma il clima è di sfiducia. Di delega totale. Anche perché, per tutti questi anni, anche a causa della cassa integrazione, il conflitto e la partecipazione diretta non è stata possibile. Quando un lavoratore lavora due o tre giorni in una settimana, a volte solo sei o sette giorni al mese, non ritiene possibile che si organizzino scioperi. Il lavoratore si riposa anche ‘troppo’. E per FCA e per i sindacati firmatari è stato facile arrivare a far digerire il CCSL e tutto quel che comporta”.

“La Fiom all’epoca fece una grossa campagna per il No al referendum e nei reparti operai il No prevalse. Il Sì ha vinto solo grazie agli impiegati e ai quadri. Ma buona parte degli operai non sa che cosa c’è nel CCSL. Molti si stupiscono di certe clausole, come quella del ‘recupero’ obbligatorio. Se la linea si ferma per un guasto e non si raggiungono gli obiettivi produttivi, FCA può obbligare gli operai a lavorare il sabato per recuperare la produzione persa. Scoprono mano mano le storture del contratto e si chiedono come sia stato possibile firmarlo con quei contenuti. Ma troppo tardi”.

“E quanto alla possibilità di lotta, ti do le cifre dello sciopero fatto nel reparto ‘mascherine’ (dove peraltro è maggiore la presenza dei sindacalizzati) con l’adesione all’astensione dal lavoro di 12 e 17 lavoratori a fronte di circa 60 addetti per ciascuno dei due turni”.

“Occorre tenere conto” prosegue Pasquale, “che per anni migliaia di lavoratori hanno dovuto tirare a campare con tutta la decurtazione salariale che la CIG comporta. Guarda posso dirti che tra il 2009 e oggi, con tutta la cassa integrazione che ho fatto, ho calcolato di aver perso almeno 70.000 euro. E, così come me, migliaia di altri miei colleghi di lavoro hanno perso cifre simili. Forse non altrettanto quanto me (a me hanno fatto pagare il mio ruolo sindacale), ma comunque cifre molto importanti”.

“Perfino i sindacati firmatari si accorgono di non riuscire più ad avere il ruolo di gestione della manodopera che avevano un tempo. E’ tutto in mano all’azienda, senza intermediazioni”.

“Non so, né posso sapere quanti siano gli iscritti alle varie sigle. La Fiom non può avere iscritti con delega, come accadeva un tempo, ed è costretta a far attivare ai propri aderenti la ‘cessione del credito’. Prima del 2010 la sindacalizzazione era pari al 53%, considerando tutti i sindacati, quelli filopadronali, i confederali, i Cobas, USB, ecc. A oggi non so più quale possa essere questo dato. Comunque ho la sensazione che grande sia l’adesione al sindacato di comodo, la Fismic. Molti della Fiom, sia delle Carrozzerie, sia della ex Bertone, hanno cambiato sigla sotto il ricatto della cassa integrazione. E’ ovviamente un comportamento non condivisibile, ma, purtroppo, molto spiegabile”.

 

E, chiediamo, come vivono gli operai FCA la loro separazione dal resto degli operai metalmeccanici, tanto più in questa fase di vertenza per il CCNL con Federmeccanica?

 

Ci risponde Pasquale: “La separazione dal contratto metalmeccanico (quello con Federmeccanica) è stata totalmente introiettata, anche per responsabilità dei sindacati. La vertenza in corso in queste settimane per il nuovo CCNL con Federmeccanica è totalmente lontana dalle preoccupazioni dei lavoratori FCA. D’altra parte, io sto alla Fiat dal 1988, i lavoratori di Mirafiori, dopo la sconfitta del 1980 non hanno più avuto un ruolo protagonista nelle lotte per il contratto nazionale. Era una vertenza lasciata ai lavoratori delle altre fabbriche. Al massimo gli operai di Mirafiori si occupavano più che altro del contratto aziendale, che comportava un qualche miglioramento economico. Ma ora non c’è più, perché il CCSL riassume sia il nazionale che l’aziendale. Alcuni si rendono conto delle conseguenze dell’uscita dal CCNL metalmeccanico. Magari hanno amici o parenti che lavorano in aziende aderenti a Federmeccanica e constatano la differenza netta di salario, che cresce sempre di più”.

 

Stefania ci dice: “I dipendenti FCA, rispetto agli altri metalmeccanici delle aziende aderenti a Federmeccanica hanno retribuzioni inferiori di € 1.900,00 annui, non hanno la quattordicesima. E’ aumentata per loro la parte ‘premiale’ del salario, che non incide sulla rendita previdenziale, sul TFR, ecc. I nostri stipendi sono diminuiti perfino rispetto all’ultimo contratto metalmeccanico applicato in Fiat, che è il CCNL del 2008. Non vengono pagati i primi tre giorni di malattia. La nuova metrica dell’organizzazione del lavoro elimina ogni tipo di pausa e satura al 100% l’intera giornata di lavoro, con le conseguenze immaginabili su chi è costretto a lavorare alla catena con i ritmi che impone oggi FCA. La pausa mensa è stata spostata a fine turno, in quasi tutti gli stabilimenti, con la conseguenza di lavoratori che sono costretti al digiuno per 7 ore e trenta minuti. Il numero di lavoratori che rinunciano alla mensa aziendale e che approfittano della pausa mensa a fine turno per andarsene a casa mezz’ora prima è grande ed è in crescita, anche a causa della pandemia, perché così si evita di andare in mensa e si approfitta di pullman meno affollati.

E’ non è solo un problema di alimentazione. La pausa mensa a metà della giornata lavorativa serviva ai lavoratori per dare ristoro ai muscoli, alla schiena, al corpo in generale. Le scelte di FCA e la connivenza di chi l’ha accettata fa sì che sta crescendo e crescerà la quantità di patologie psicofisiche, muscoloscheletriche, il numero di lavoratori che avranno un danno sul lavoro e che con la loro inabilità totale o parziale graveranno sullo stato”.

 

E, per dedicare un po’ di tempo anche alle prospettive occupazionali, abbiamo chiesto quali siano le previsioni per gli stabilimenti ex Fiat italiani, dopo il famoso accordo tra Fca e PSA, il gruppo Peugeot.

 

Pasquale ci ricorda di averci già detto sul quadro occupazionale a Mirafiori. e aggiunge: “E’ un quadro molto preoccupante, ancor più preoccupante appunto nella prospettiva della ‘fusione’ con PSA. Di quella fusione non se ne parla in fabbrica, anche perché nessuno ne sa nulla, compresi i sindacati. Non sappiamo a gennaio che cosa ci aspetta. Ora siamo tutti rientrati da settembre, ma non è affatto detto che con la fusione non ci saranno nuove richieste di cassa integrazione.

Sulle prospettive, già il fatto di aver destinato oltre 100 lavoratori a fare mascherine, dunque un prodotto che non ha nulla a che fare con le auto, è un segnale inquietante. E’ vero che spesso si tratta di operai non totalmente idonei ma in altri tempi sarebbero stati destinati ad altri compiti più attinenti al lavoro delle linee di produzione.

 

Stefania rincara la dose: “Chiamare fusione quella tra FCA e PSA, oltre ad essere una grande bugia, costituisce l’epilogo della nostra fine annunciata. Due grandi aziende dell’auto diventano un unico gruppo, con il fine dichiarato di costruire macchine elettriche e a guida autonoma. Salvo che le fabbriche francesi provengono da 10 anni di investimenti concentrati nel settore. L’elettrico lo fanno già. In FCA invece, in Europa e in Italia, abbiamo subìto 10 anni di dismissioni e le linee produttive sono lontane anni luce dall’essere in grado di produrre l’elettrico: dovranno essere stravolte! Nell’accordo è scritto a chiare lettere che la guida francese del nuovo gruppo non potrà essere contestata da nessuno. Non a caso gli Agnelli-Elkann hanno acquistato da De Benedetti tutta l’opinione pubblica italiana, l’intero gruppo Gedi (Repubblica, L’Espresso, La Stampa, ecc.)… Ormai solo una piccola parte degli interessi degli Agnelli è legata a Fiat-Chrysler. E solo una minima parte di questa parte già minoritaria è rappresentato dalle fabbriche italiane, quelle in cui noi lavoriamo”.

“Oramai quasi la totalità degli interessi della EXOR (la holding di famiglia) converge su altri investimenti: banche, giornali, Avio (con l’aerospazio e le armi!), le società calcistiche, Auchan, Rinascente, Leonardo, Sistemi per la difesa, solo per elencare le più importanti”.

“Il ridimensionamento della fabbrica di Termoli va avanti da tempo. Sono stati rispediti a Melfi i trasfertisti, meno di due anni fa (e là ora sono in cassa di solidarietà) e nell’ultimo anno, anche prima dell’epidemia, contiamo diverse centinaia di dipendenti in meno. Oltre 500. Siamo ai minimi storici della forza lavoro della FCA di Termoli, al di sotto delle 2.000 unità. Molti sono stati incentivati alla pensione, altri (giovani), hanno pattuito ‘ad personam’ il licenziamento”.

“Il mercato dell’auto, tutti i dati ce lo testimoniano, è saturo da tempo e PSA non pensa di produrre vetture in Italia, che vede soprattutto come un grande mercato da conquistare. E questo farà una bella differenza in termini di occupazione. Le prospettive, per Termoli sono veramente grigie e rischiamo di spegnerci piano piano. La FCA di Termoli è la più grande realtà industriale molisana e rischia di portare a fondo buona parte dell’economia della regione, e non solo. Non ci riferiamo solo all’indotto e ai collegati, ma anche a tutte quelle attività che nascono e vivono intorno ai posti di lavoro dello stabilimento di Pantano Basso”.

“Senza dimenticare che i salari FCA sono i più  bassi tra i metalmeccanici italiani, i quali hanno i salari più bassi d’Europa, i peggiori orari e la più alta tassazione”.

 

Quanto a Mimmo ci dice: “Io mi sono fatto un’idea: per noi operai non cambia granché se i padroni dell’azienda saranno francesi e non più italiani: certamente ci saranno stabilimenti che saranno costretti a chiudere, disoccupati, probabilmente a decine di migliaia, qui a Melfi, a Cassino, a Torino, in Francia e in altri paesi del mondo, che vinca o meno Peugeot. E quelli che rimarranno verranno massacrati dai ritmi che verranno imposti dalla nuova azienda. L’unica ricaduta positiva della fusione potrebbe essere che nel nuovo contesto si riesca a innescare un’internazionalizzazione delle lotte. Io, per esempio, mi aspetto molto dai compagni francesi, perché gli operai francesi, mi sembra che le lotte le sanno ancora fare, molto più di noi qui in Italia. L’importante è che, di fronte a quelle che saranno le ricadute occupazionali dell’accordo, non si agisca difendendo ognuno il proprio recinto, dando un ulteriore gigantesco contributo alla guerra tra poveri, con la conseguenza della contrattazione al ribasso da parte delle organizzazioni sindacali complici, dell’accettazione di un livello di sfruttamento ancora più selvaggio per restare aperti. Occorrerà operare per costruire quella coscienza di classe tra i lavoratori necessaria a resistere”.

“La Fiat ha resistito per molti anni a non guardare neanche al mercato dei motori elettrici, probabilmente sotto la spinta di Chrysler e del mercato del petrolio. Con la conseguenza di ritrovarsi totalmente spiazzata dall’andamento prevedibilissimo del mercato. Partire con l’elettrico con 10 anni di ritardo, mentre la concorrenza, in Corea, in Giappone, nella stessa Francia, è mille anni luce più avanti, ha condotto la Fiat in un vicolo cieco e l’ha costretta ad elemosinare un accordo da qualche partner. Ci ha provato con la Renault-Nissan e poi ha ripiegato su Peugeot. Con questo nuovo partner non giocava più alla pari come sembrava avvenisse con Renault. Questo accordo invece è risultato una vera e propria vendita, affidando ai francesi tutto il potere decisionale e riservando a John Elkann solo un ruolo di rappresentanza”.

 

Stefania coglie l’occasione della nostra intervista per raccontarci le condizioni concrete di vita e di lavoro delle operaie e degli operai FCA di Termoli: “In azienda è sempre più inutile rivolgersi al medico competente per segnalare disturbi. Quel medico è lo stesso che, retribuito dall’azienda, ha valutato e dichiarato idonee le postazioni di lavoro. Cioè è il controllore che controlla se stesso. Se soffri di una patologia cronica, ad esempio la tiroidite, devi chiedere di essere esonerato dal notturno a quello stesso medico che ha dichiarato idonee quelle postazioni. Con tutta certezza, sta accadendo a Termoli per tanti colleghi, ti dichiara idoneo, dunque ti fa guarire miracolosamente da una malattia cronica, incurabile. Meglio che andare a Lourdes”.

“Ci sono operai con invalidità civile certificata dalle ASL che vengono dichiarati idonei a lavorare su postazioni unanimemente riconosciute pesanti. E a volte i lavoratori vengono messi l’uno contro l’altro a causa dell’attribuzione delle postazioni più disagevoli”.

“E l’assistente sociale svolge una funzione analoga. Ai colleghi, e, ovviamente, soprattutto alle colleghe che, per vari motivi, non possono lasciare i figli da soli, ma potrebbe essere anche il caso dei genitori invalidi, l’assistente sociale fa ostruzionismo sulle richieste rispetto ai turni di lavoro, rinvia le decisioni e, alla fine le respinge di fatto minacciando di metterti in cassa integrazione. Per l’azienda, quando il figlio ha compiuto l’anno di età può essere lasciato solo, anche di notte”.

“C’è un clima di paura che vige da oltre 10 anni alla FCA. Se mandi raccomandate di denuncia alla ASL, l’unico effetto che hai è che i capi ti terranno ancora di più sotto pressione”.

“E’ questo l’uso della cassa integrazione, anche di quella di questa fase di pandemia: ‘sei ammalato? ti metto in cassa, hai la mamma invalida? ti metto in cassa e non in permesso per 104, vuoi andare a donare il sangue? ti metto in cassa, devi allattare tuo figlio? devi rinunciare ai permessi o ti metto con quelli in cassa…’. Con la conseguenza di dover arrivare alla fine del mese con un reddito di 790 euro. A me, in sei mesi, hanno fatto lavorare solo per due settimane, e non nello stesso mese per non farmi maturare nessun rateo di tredicesima. Mi hanno chiamata a lavorare perché dovevano finire una fornitura urgente di 200.000 motori obsoleti per la Turchia. Talmente urgente che hanno fatto lavorare me e i miei compagni di linea anche nel fine settimana perché così poteva ripartire al più presto la Cig. Per completare questa fornitura hanno perfino sospeso la produzione dei motori ibridi”.

“Per il Covid, visto che i capi hanno i loro obiettivi di produzione turno per turno, si saltano le sanificazioni, si corre a casa, rinunciando alla mensa, furbescamente spostata a fine turno. Tieni conto che ci sono tanti operai che vengono da lontano, che partono da casa alle 3 e mezzo/4 della mattina e che restano a digiuno fino a quando rientrano a casa dopo le 4 del pomeriggio, senza mangiare nulla. E nelle poche e brevissime pause non puoi mangiare perché devi andare al bagno evitando l’assembramento, e senza fare la via più breve, ma rispettando i ‘percorsi Covid’. Se non ce la fai ti metto in cassa. C’è gente infartuata che viene a lavorare, con i venti turni, compresa la notte. Chi presenta certificazioni del medico per sé o per i propri figli viene messo in cassa Covid. Con il risultato che anche chi ha patologie gravi e realmente invalidanti non le dichiara. Senza trascurare il fatto che così le esigenze di efficienza produttiva di FCA vengono scaricate sulle spalle della spesa statale, con risorse che potrebbero essere utilizzate ben diversamente”.

“Questo è il modo in cui il singolo lavoratore cerca di difendersi, dimenticando totalmente l’idea della difesa collettiva, che è alla base dell’idea di sindacato, che, oltre che difesa è anche progetto, conquista relativamente stabile. Il singolo lavoratore, al contrario, oggi, non vede più l’obiettivo del cambiamento, magari parziale, ma effettivo”.

“E’ tutta l’idea del fare sindacato che ormai viene interpretata in modo distorto da parte dei lavoratori, c’è perfino un logoramento del linguaggio che andrebbe affrontato. Lo stesso termine ‘sindacato’ ha assunto alle orecchie dei lavoratori un significato degenerato. Marchionne, e chi ha acconsentito al suo progetto, in questo ha raggiunto pesanti risultati: ha distrutto l’idea del sindacato come azione collettiva e consapevole, l’idea di potersi opporre tutti insieme. Se il grosso dei lavoratori non ammette che si possa contestare apertamente quel che dice il padrone, è difficile, se non impossibile fare sindacato. Quando si afferma, solennemente, che c’è un obiettivo comune tra te e il padrone, quello della ‘produttività’, che è sbagliato opporsi alla volontà padronale, si torna indietro di decenni. Mio nonno mi raccontava che quando si raccoglievano le patate nella piana del Fucino, chi non aveva da mangiare si affollava seduta a terra nelle piazze del paese per aspettare che il signorotto lo chiamasse per avere almeno una giornata di lavoro come bracciante. A volte l’attesa era di giorni, prima che il signore ti chiamasse, scegliendo ‘tu sì e tu no’, tu ‘5 denari’, tu invece ‘3 denari’. Se sei d’accordo bene, se no aspetti altri giorni e magari non ti chiama nessuno. Rischiamo di tornare a quella logica, a quella condizione”.

“Ti racconto un paradosso accaduto ad una mia compagna di lavoro, madre single, con tre figli, uno di tre anni e due adolescenti. Volendo seguirli un po’ nel pomeriggio ha chiesto all’azienda di lasciarle liberi i pomeriggi ed eventualmente collocandola di tanto in tanto nel turno notturno, quando le risultava più agevole lasciare i figli soli mentre dormono. Conclusione: l’azienda l’ha collocata fissa sempre di notte ma, visto il ‘favore’ fattole, le ha chiesto di lavorare anche nel suo giorno libero a scorrimento, cosa che l’operaia non ha potuto non accettare…”.

“Nessuno ha spiegato il senso dello spostamento della mensa a fine turno, tanto più in una fase di epidemia come quella che stiamo vivendo. Per la regola del distanziamento, dai sette turni di mensa che prima c’erano si sarebbe dovuti passare a un numero ancora maggiore di turni, per diradare l’affollamento. Invece tutti insieme, 1.000 persone a fine turno. Con il risultato che si deve far la fila teoricamente in mille per prendere il sacchetto preconfezionato, che ha sostituito il prodotto fresco, e la gran parte rinuncia. Con grande profitto per FCA che già sta pensando di eliminare il servizio mensa, licenziando i lavoratori che impiega e che sono pagati a chiamata. Ci sono dipendenti della mensa che hanno lavorato per due giorni in un mese”.

“E non è solo la mensa: gli spogliatoi sono pericolosi? allora non vi spogliate più, con il risultato che gli operai restano per dieci ore con la tuta sporca addosso. Ma sono pericolosi anche i bagni, i pullman…”.

“D’altra parte anche i 20 turni aumentano il rischio di contagio: il sabato e la domenica i trasporti collettivi sono molto più rarefatti, così gli operai si organizzano e vengono al lavoro in automobile, riempiendola passando a raccogliere i colleghi che abitano vicino, ovviamente senza la possibilità di rispettare le minime regole di distanziamento. Si portano da mangiare da casa, consumando il pasto dentro l’officina, mentre vanno in bagno…”.

“Ci dicono: se facciamo i 20 turni vuol dire che l’azienda va bene, dunque non vi lamentate e non mettete gli scioperi, senza considerare che per l’azienda è più conveniente intensificare la produzione, anche con i notturni, e poi, raggiunti gli obiettivi, mettere tutti in cassa risparmiando sull’energia elettrica e tutte le altre spese fisse. Ciò significa per l’azienda che, se le cose vanno bene, conviene fare veloci e, se vanno male, conviene fare veloci lo stesso. Occorre che i lavoratori capiscano che, se non si muovono loro, noi, ben che va, continueremo a lavorare così”.

 

Stefania ci ha dato qualche dato sulla situazione del Covid in azienda, così lo chiedo anche agli altri.

 

Mimmo, da parte sua ci dice: “Il risultato negativo del fallimento della lotta contro il CCSL lo si vede anche nella difficoltà a rispondere ai rischi di contagio. Ad esempio oggi noi abbiamo definito lo stabilimento di Melfi come la ‘la più grande zona rossa della Basilicata’, con i suoi oltre 100 dipendenti censiti come ‘positivi’ al Covid-19. Ma una ‘zona rossa’ nella quale ogni giorno entrano ed escono migliaia di persone senza alcuna limitazione e senza nessuna reale sanificazione, con lo stesso numero di pullman e senza il minimo distanziamento sui mezzi di trasporto. Non è un caso che le giornate semispontanee di sciopero del marzo scorso per chiudere le aziende a rischio contagio non abbiano toccato gli stabilimenti FCA”.

“Usb Basilicata (e solo Usb) ha così indetto per ben due volte 24 ore di sciopero, il 26 settembre e il 13 novembre, anche per denunciare la deroga decretata dal presidente della regione per consentire anche ai lavoratori delle zone rosse di recarsi al lavoro alla FCA. Ma, occorre sottolinearlo, proprio per la scarsa credibilità dello strumento dello sciopero, oggi che è in gioco perfino la salute e forse la stessa vita dei lavoratori esposti al contagio, solo pochissimi si ribellano”.

“Non lo dico per vantarci, ma siamo stati gli unici a muoverci sul terreno del contrasto dal basso al Covid. Siamo perfino riusciti a imporre un tavolo attorno al quale, pur non essendo un sindacato formalmente riconosciuto, eravamo seduti noi assieme ai rappresentanti dell’azienda, alle autorità regionali e ai carabinieri, per discutere sull’andamento dei contagi nei reparti”.

“Il CCSL, tra tutti i suoi punti negativi, ha anche la questione dei 20 turni a ciclo continuo, introdotti a partire dal 2014, che ha molto colpito i lavoratori. La Fiom non ha preso alcuna iniziativa su questo ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita. Noi abbiamo dichiarato sciopero sugli straordinari, per contrastare i 20 turni. Questa nostra iniziativa è stata quella che ha particolarmente infastidito Landini che poi ci ha cacciato dalla Fiom. Ora, come Usb di Melfi noi continuiamo a contrastare sistematicamente quella misura, indicendo lo sciopero per tutte le domeniche pomeriggio. All’inizio di ogni anno Usb indice lo sciopero per tutte le domeniche pomeriggio dell’anno e per tutti gli straordinari, dal 1° gennaio al 31 dicembre. Questo per contrastare uno dei contenuti peggiori del CCSL ma anche per restituire nelle mani dei lavoratori lo strumento di lotta. Noi non vogliamo la classica pratica sindacale: io proclamo uno sciopero, aspetto che l’azienda mi convochi, sospendo lo sciopero… così il lavoratore resta marginalizzato, risulta solo un oggetto dell’azione sindacale e ancor più della contrattazione. E i risultati si vedono, soprattutto per le domeniche pomeriggio lavorative, che abbiamo ricominciato a farne tantissime. Ebbene, abbiamo una media di 450-500 lavoratori che ogni domenica pomeriggio comandata scioperano. Sono numeri importanti, rispetto alla partecipazione agli scioperi in Fca, che è oramai ridotta a cifre marginali. Ammesso che qualcuno proclami sciopero, cosa che non succede. La nostra oramai è l’unica azione sindacale di contrasto al CCSL. Avevamo pensato di proclamare uno sciopero di 15 minuti ogni giorno, per riconquistare le pause abolite con il CCSL, come fanno alla Sevel di Atessa, ma abbiamo verificato numerosi problemi formali e giuridici che ci hanno indotto a rinunciare”.

 

E Pasquale: “I contagi di operai in azienda sui circa 3.000 addetti sono un po’ più di 50, ma ci sono molti in quarantena, a causa di familiari ‘positivi’ ai tamponi. Le misure di distanziamento e di prevenzione sono in gran parte rispettate, con la pulizia dei reparti, dei bagni, dei carrelli, con 5 minuti di tempo per pulire la propria postazione. Il minimo indispensabile viene rispettato. L’assurdità è quella dello spostamento della mensa a fine turno, con la gran parte degli operai che non ne usufruisce perché trova assurdo mangiare alle 21,30 e preferisce andare a casa mezz’ora prima.

Naturalmente in uno stabilimento di oltre 3.000 persone è impossibile impedire del tutto il contagio. Sarebbe necessario fermare la produzione. Ma non si farà se non lo imporremo noi…”.