LA CRISI DEL TRASPORTO AEREO TRA PASSATO PRESENTE E FUTURO

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DI GIUSEPPE MONTARULI

Continua a soffiare  sempre più forte il vento del liberismo in questi giorni di pandemia, ma prima di spenderci in un analisi delle conseguenze del combinato disposto della pandemia e delle politiche neoliberiste nel settore del trasporto aereo diamo uno sguardo alla situazione generale.

I salari medi in Italia dal 2000 ad oggi sono cresciuti del 3,2%. Nel 2019 i salari erano ancora più bassi nonostante un leggero recupero di quelli del 2006. Nello stesso periodo in Francia e in Germania sono cresciuti rispettivamente del 18,1% e del 21,4%.  Aggiungiamo che a livello geografico, in Italia  si registrano livelli di occupazione e retribuzioni molto differenti. Negli ultimi dieci anni il numero di occupati è cresciuto del  2,3% nel Nord e Centro mentre è calato del 4% al Mezzogiorno. Il tasso di occupazione é del 66,1% al Centro-Nord e fermo al 44,5% a Sud. Fra Nord e Sud il gap retributivo è del 15%. (dati pre covid)

E’ opinione quasi incontestabile che ciò sia attribuibile in larga misura alla scarsa produttività registrata in Italia (più 0,4% dal 1995 al 2015) rispetto la media europea ed ai citati cugini francesi e tedeschi, ma in realtà, il problema è figlio della struttura produttiva del nostro Paese, e dalla composizione
dell’imposizione fiscale e contributiva che grava in modo eccessivo sul lavoro e dall’incapacità di politica e sindacati di porre il lavoro a fondamento delle politiche economiche del nostro paese. Dal lavoro dipendono le politiche economiche e da queste l’ economia, ma ora viviamo  una realtà in cui questa consequenzialità è capovolta. Dall’economia dipendono le politiche economiche e da queste dipende il lavoro. I “pochi” tiranneggiano sui “molti”.

Questo è il substrato sul quale si innesta la piu grave crisi mondiale del trasporto aereo mondiale di cui ancora facciamo tutti fatica a vedere la fine. Ma due cose sono certe, la pandemia finirà, e il mondo soprattutto quello aeronautico post covid non sarà più lo stesso.

I dati e le analisi che giungono da più parti (IATA, Eurocontrol, ecc) ci riportano una situazione gravissima ora e per i prossimi sei mesi con un orizzonte temporale di uscita dalla crisi variabile tra i  tre anni e i nove anni, (dati Eurocontrol) il  tutto legato alla disponibilità del vaccino, in parole povere più tardi arriverà più lunga sarà l’attesa di una ripresa.

Gia circa 400000 i lavoratori del settore nel mondo hanno perso la loro occupazione, altri li seguiranno nei prossimi mesi ed in Italia la situazione potrebbe farsi particolarmente esplosiva a fine marzo quando con tutta probabilità scadrà la moratoria sui licenziamenti. Citiamo ad esempio rivelatore il  caso di American e United, che dal 1 ottobre, giorno in cui scadeva l’obbligo di non effettuare licenziamenti legato al precedente aiuto federale di 25 miliardi di dollari (cui se ne aggiunsero altri 25 in prestiti di altro tipo), hanno attivato procedure di licenziamento per 19 mila lavoratori  American e 13 mila lavoratori di United. Ad ogni modo anche in Italia già diverse migliaia di lavoratori del settore sono stati lasciati a casa, parliamo di precari, stagionali, lavoratori part time e per i quali molto spesso non interviene alcun ammortizzatore sociale a sostenerne il reddito. Alcuni come i dipendenti della Venchi con manovre truffaldine di spostamento delle sedi di lavoro che altro non sono che licenziamenti mascherati. Urge un intervento statale poderoso e duraturo, (altrimenti a marzo affronteremo una serie di licenziamenti di massa come il caso americano insegna) che deve mettere in primis in sicurezza il settore ed un intervento pubblico a porre nuove basi per una ripartenza.

Insomma dopo vent’anni di corsa ininterrotta il settore sta subendo un inaspettato crollo aprendo a scenari “rivoluzionari”.

Allo scopo vorrei fare una breve panoramica del mondo dell’aviazione , molto spesso confuso ed identificato solo con uno dei suoi attori più importanti. Stiamo parlando naturalmente delle compagnie aeree con  l’aggregato dell’industria aeronautica, ma esistono altri attori che si muovono sinergicamente ad esse e ne sono indispensabili compagni. Questi sono i “provider” dei servizi del traffico aereo  e per l’Italia ciò viene esercitato in regime di monopolio da enav spa, ( che per l’ eccezionalità della sua condizione di spa quotata in borsa e con capitali privati da remunerare, meriterebbe una trattazione a parte) e da i “regulator”  nel nostro caso ENAC.

L’enav si occupa attraverso i servizi che fornisce alle compagnie aeree di garantire che tutte le operazioni di volo e movimentazione a terra siano svolte in massima sicurezza ed efficienza e per farlo percepisce dalle medesime un compenso secondo uno schema tariffario complesso e studiato al fine di garantire che le risorse per i provider non siano mai deficitarie proprio secondo quella visione “safety first”. Oggi la crisi sta mettendo in discussione questo sistema e sotto le spinte liberiste si sta approntando a livello europeo una revisione di questi accordi con una contemporanea deregolamentazione dei servizi apertura al mercato che nulla ha e che vedere con i compiti di enav come degli altri provider a livello europeo.

D’altra parte è qualche tempo che assistiamo al tentativo di trasformare enac in ente pubblico economico, atto prodromico ad una vera e propria privatizzazione, ma comunque già di per se sufficiente a porre l’enac nelle condizioni di dover fare business e nel contempo garantire il rispetto delle regole sancite a livello europeo e l’emanazione di regolamenti propri a garanzia di tutti, ergendosi al di sopra delle parti, cosa, come appare ovvio, possibile solo rimanendo pienamente nel perimetro dello stato.

Quando ad inizio della riflessione ponevo l’accento su questo vento liberista lo intendevo in questo senso, tanto forte da penetrare all’interno dei meccanismi regolatori che dovrebbero per loro natura essere basati su altri principi economici perché non si prefiggono obiettivi meramente finanziari  siano essi nel caso di specie di  garanti della sicurezza e o della corretta applicazione delle regole.

Ma è anche in atto una transizione che porterà ad una sostanziale rivoluzione che come detto sarà lunga e porterà anche ad un mutamento delle abitudini dei viaggiatori, si profila una riduzione dei voli business per via di un aumento dello smart working, teleconferenze ecc. e nell’immediato bisognerà ricostruire la fiducia dei viaggiatori come all’indomani dell’undici settembre in Usa. Il settore ha chiaramente bisogno del sostegno pubblico come  hanno capito in altri paesi (abbiamo gia citato il caso americano). Lo hanno fatto Francia, Olanda e Germania per Air France-KLM e Lufthansa. Ciò è destinato ad imprimere un cambiamento all’aviazione civile dopo gli anni della privatizzazione. Anche l’Italia seppur timidamente sembra averlo capito con la creazione di un nuovo vettore nazionale nato dalle ceneri della vecchia e consunta Alitalia. Sta maturando la consapevolezza circa la rilevanza strategica di un vettore nazionale attraverso un nuovo impegno diretto degli Stati, a tutela della mobilità interna ed esterna in momenti particolari come la crisi globale in corso”.

Un capitolo a parte meriterebbero gli aeroporti, oggi vere e proprie cattedrali nel deserto e luoghi nei quali se non ci attiviamo per tempo sconteremo la più grande perdita di posti di lavoro. Si specula nell’ambiente sulla probabile fine o enorme ridimensionamento del modello di sviluppo aeroportuale hub to spoke, cioè quel sistema che prevede giganteschi aeroporti (gli hub) come Malpensa  nel quale convogliare il traffico da smistare poi alle diverse destinazioni. Optando per un sistema di rotte point-to-point. E con il conseguente addio ad aeromobili “vecchi” come gli A380 o i Boeing 747 optando per velivoli più piccoli più efficienti e più economici. Ma con la contemporanea diminuzione di rotte e collegamenti che porterà nel futuro probabilmente ad un aumento dei costi dei voli. Il fattore ambientale oggi rilevante, è destinato a rivestire sempre più importanza in futuro (si vedano le sperimentazioni di aeromobili ad emissioni zero) ,potrebbe sostenere l’industria e imprimerne un altro enorme cambiamento, anche se i primi velivoli  potrebbero vedere la luce non prima di quindici anni.

Insomma anziché rintanarsi nei propri uffici e pensare che tutto questo si risolva semplicemente lasciando fare al mercato è quanto mai necessario che si ripensi al ruolo del MIT e dello stato e dell’Europa nel suo insieme, con investimenti pubblici e politiche di indirizzo con  obiettivi chiari e sostenibili, con idee, (quelle si rivoluzionarie) senza i quali il settore e i suoi lavoratori sono destinati a soccombere, e che non sono incarnate dalle attuali strategie neoliberiste

Tutto questo per dare un segno  di discontinuità in quanto il  ventennio di politiche di privatizzazioni e il neo liberismo imperante unito agli effetti della globalizzazione e della finanza fine a se stessa, ha permesso il consolidamento di  logiche imprenditoriali volte alla ricerca del profitto tout court. E se questo da una parte ha consentito una crescita costante del settore non ha consentito un altrettanto equa crescita dei salari e dell’occupazione (si contano circa 20000 occupati in meno negli ultimi dieci anni). Il sistema vigente ha eroso l’imprenditoria sana,  ha favorito il dumping salariale, la delocalizzazione, ha ridotto il salario e eroso fortemente i diritti dei lavoratori, ha precarizzato il lavoro in ogni contesto finanche tra i piloti e gli equipaggi di volo ( emblematico il caso ryr), rendendo i lavoratori sempre più deboli e abbandonati. Gli stessi, a volte inconsapevoli, a volte distratti, a volte ingannati e mal difesi, sempre più disponibili a “lavorare ad ogni costo” ma mai colpevoli e meno che mai in questa crisi. L’idea dominante è quella che attraverso l’abbassamento del costo del lavoro per le imprese,  possa consentirsi una crescita, e nel nostro presente una ripresa più veloce. Ci dicono: “Senza crescita non può esserci lavoro”… noi osserviamo che anche quando c’è, il lavoro si perde ugualmente, oppure viene offerto a condizioni sempre più svantaggiose, il tutto a garanzia del profitto dei “pochi”. Si potrebbe dire molto a riguardo  ma già questo basterebbe a legittimare una sostanziale rivoluzione del sistema e la presa di coscienza che in Italia più che in altri paesi, non si assiste ad una equa distribuzione delle risorse  e dei sacrifici. Quindi parlando da uomo della strada, posto da cui provengo, siamo di fronte ad un vero e proprio ricatto occupazionale che anno dopo anno deprime i salari  cancella diritti nega il più delle volte la possibilità di salire l’ascensore sociale e a stento consente la sopravvivenza.

Togliere al lavoro la capacità fondante della nostra democrazia, il disconoscimento nei fatti dell’art 1 e dell’ art 3 della costituzione, ha avuto e continuerà ad avere  l’effetto di privare i cittadini tutti ed  i lavoratori in primis  della voglia e della dignità di combattere per costruire un sistema occupazionale (potrei usare il termine mercato del lavoro, ma non mi è mai piaciuto) più equo, più giusto e più umano. Il processo di sottrazione di strumenti di lotta concreti e le logiche del sindacato confederale, esso stesso fattosi impresa, e la rinuncia ad utilizzare il conflitto e la lotta come strumenti per migliorare le condizioni economiche e sociali dei lavoratori avevano già spianato la strada a questo moderno sistema di schiavitù (macelleria sociale)  consentendo tra l’altro a questi conflitti di trovare risposte (quanto mai ingannevoli) e di far crescere partiti e movimenti populisti di destra che cavalcando il malcontento, hanno occupano uno spazio che un tempo era  della “sinistra”, con una concezione dello stato e del lavoro diametralmente opposta. Non ci dilunghiamo qui in un analisi che ci porterebbe troppo lontano, ma credo che il superamento del conflitto come strumento di lotta, come catalizzatore, in favore della concertazione, abbia disperso notevoli energie per il conseguimento di obbiettivi di carattere generale per l’evoluzione del nostro paese nel senso più umano e umanista dell’accezione. Basterebbe osservare le manifestazioni popolari in Italia e nel mondo  succedutisi in questi ultimi anni e che testimoniano di un diffuso malcontento, ma che privati di obbiettivi concreti e strumenti fattivi di lotta si sono andati perdendo (occupy wall street, gli indignados, i vaffa days, i gilet gialli, e potremmo andare avanti…) come le loro istanze

In tutto questo i sindacati contemporanei hanno di  fatto sposato l’idea  che attraverso la concertazione si potessero conciliare le esigenze dell’impresa con quelli dei lavoratori, (disconoscendo quella che un tempo si chiamava lotta di classe), che ad alcuni pareva assurda allora e che si è rivelata oggi, nei fatti fallimentare.  Il sindacato si è privato della sua anima, delle sue aspirazioni,  ha perso  la  sua identità o forse l’ha barattata in cambio della propria esistenza, ha perduto il collegamento con la base con la materialità del lavoro, perdendo la capacità di essere realmente al fianco dei lavoratori e lottare per loro e con loro. Ha perso forza, ed ha perso senso (anche consenso ovviamente) ed è ora di ritrovarlo nelle battaglie che ci aspettano a livello nazionale e trans nazionale.

Certo è più una speranza che un auspicio  perché il timore oggi è che i “pochi” come li definisce Nadia Urbinati  schiaccino  il piede sull’acceleratore spazzando via le ultime timide resistenze, dei “molti” incapaci di unirsi e proporre un alternativa concreta e visibile, di ricomporre quella frattura profonda che lacera le nostre società. Ma forse potrebbe anche essere per chi naviga in direzione ostinata e contraria l’occasione di risvegliare quelle energie e quelle risorse che ci hanno consentito di ottenere le più grandi conquiste in ambito lavorativo, sociale ed umano.

Margaret  Mead  diceva: “Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l’unica cosa che è sempre accaduta”.

… Solo il futuro ci dirà se ha ancora ragione.

Uno dei “molti”