GUERRA E SALARI

Immagine Marco Verch Professional Photographer da Flikr licenza CC BY 2.0

Nessuno di noi è in grado di prevedere gli sviluppi della guerra scatenata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Sebbene le scelte del cosiddetto fronte occidentale paiano orientate a alimentare l’escalation militare nulla si può escludere, nemmeno un repentino cambio di scenario.

Sono molteplici e sostanziosi gli interessi in campo e spesso contraddittori tra loro.

Tuttavia l’impatto della guerra militare ed economica sin qui combattuta ha già prodotto una radicale revisione della spesa pubblica. Se la pandemia aveva provocato la prima vera grande crisi delle politiche di austerità e il loro stop, la guerra ha consegnato il pretesto per il ritorno ad una nuova forma di austerità, persino più cruda.

Se non fossero state decise prima della guerra le enormi risorse stanziate per i piani straordinari non ci sarebbero più.

Non solo per la sciagurata e criminale scelta di aumentare le spese militari in quella che è, a tutti gli effetti, una nuova corsa agli armamenti, ma per le crescenti difficoltà sul terreno economico ed in particolare per gli approvvigionamenti di materie prime.

Le classi popolari stanno pagando un prezzo altissimo considerati i salari medi e i redditi di sussistenza in questo paese.

La crescita dell’inflazione a livelli di fine anni 80 del secolo scorso senza più un sistema di adeguamento automatico come la scala mobile e con un impianto contrattuale che impedisce anche solo il recupero del potere di acquisto dei salari è destinata a produrre una grande crescita della povertà e del disagio.

A ciò si aggiunge che, al netto delle risorse del PNRR, la scelta di draghi è quella di contenere e ridurre il debito pubblico proprio mentre i dati a livello globale ci parlano di un debito pubblico quasi pari al Pil mondiale.

Va inoltre considerato che la guerra sta cambiando radicalmente il mondo che abbiamo conosciuto negli ultimi 30 anni, alleanze, catene del valore, divisione internazionale del lavoro, politiche finanziarie, tutto è in divenire.

E non è facile immaginare le conseguenze sull’economia nostrana.

Tutto conduce a considerare difficile che il capitale possa sostenere nel medio lungo periodo una situazione economica e sociale con queste caratteristiche.

La guerra su larga scala rischia, per queste sinteticamente espresse ragioni, di essere agita per scelta consapevole.

In questo drammatico scenario si continua a registrare un continuo e costante calo di protagonismo sociale.

Ed è difficilmente immaginabile che una ripresa della conflittualità si orienti necessariamente alla sinistra politica e sociale, per ragioni che abbiamo più volte affrontato.

Il rischio di un ulteriore smottamento a destra delle classi popolari è più che concreto.

Insieme alla necessaria proposta di mobilitazione occorrerebbe riflettere seriamente sul che fare.
Pena la coazione a ripetere. Una forma lodevole di testimonianza ma pressoché inutile.