A CHI SERVONO 11 CONTRATTI NAZIONALI METALMECCANICI?

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

DI DAVIDE CERINA

Incominciamo facendo  una fotografia, lunga due anni e carica di COVID.

Annus Domini 2019, dopo alterne vicende, crisi vere o indotte, occupazione in calo, implosione scientificamente progettata delle retribuzioni,  impoverimento culturale e sociale, esplosione della guerra dei poveri, siamo giunti fino qui:

  • 2milioni365mila514 lavoratori addetti nel comparto metalmeccanico
  • 218mila506 aziende metalmeccaniche
  • 11 contratti nazionali metalmeccanici

La quasi totalità di questi Lavoratori è  coperta, tutti meno un migliaio, da 5 contratti nazionali cosi suddivisi.

  • 1milione445mila293 Federmeccanica industria
  • 364mila544 Unionmeccanica piccole medie industrie
  • 499mila467 Artigiani
  • 13mila637 Cooperative
  • 27mila819 Cofimi

Gli altri 6  contratti coprono realtà di settore o necessità specifiche insignificanti  che hanno più il senso di un accordo privato che il rango di contratto nazionale.

A questi quasi 2milioni e mezzo di lavoratori, mi rifaccio a dati INPS, mancano i 300mila posti si lavoro persi  con la crisi negli ultimi 10 anni, un numero difficilmente stimabile di lavoratori in nero ed 1milione di lavoratori che pur essendo metalmeccanici sono sottoposti a contratti nazionali di altra categoria per errato inquadramento o per migrazione  consapevole di natura opportunistica economico/normativa aziendale.

Fatta la fotografia passiamo all’analisi che si sintetizza in una domanda alla quale rispondere, a chi servono i rimanenti 5 contratti nazionali ?

Sicuramente non ai lavoratori.

La moltitudine, per non definirla giungla, serve ai Datori di Lavoro per avere un ampia offerta tra la quale scegliere. La scelta di miglior convenienza non coincide mai con l’interesse del lavoratore ma segue la logica dei minori vincoli e del minor costo.

La complicazione, non si può dire che i contratti siano semplici da leggere, serve a favorire il rapporto di forza piuttosto che la giustizia applicativa.

Molti contratti hanno bisogno di molti sindacalisti, di molti consulenti e di un’ampia  schiera di professionisti di vario genere che precludono la libera autonomia dei lavoratori ed dei datori di lavoro.

In una parola, si complicano le cose per creare nuove figure che gestiscono, opinano ma non sempre sono un valore aggiunto. Da sindacalista quale sono stato ed ancora mi sento, può  sembrare un autogol ma credo sia necessaria onestà intellettuale per uscire dal vicolo cieco nel quale ci siamo infilati come sistema Italia,  sistema Europa, sistema globale.

Dico questo  perché il prodotto, qualsiasi, non può essere caricato all’infinito di costi indiretti. Non può essere sostenuto dalla desertificazione dei salari. Non può essere centrato sull’efficientamento produttivo o sulla spinta alla rotazione consumistica. Tutti questi ambiti hanno un fondo oltre il quale non si può raschiare, quindi, come farebbe un mastro orologiaio, dobbiamo diventare bravi a determinare degli equilibri nel meccanismo e mantenerli.

Quale è  la soluzione ? Certamente la semplificazione aiuta, cosi come l’insegnamento ad essere autonomi libera da dipendenze fatteapposta, quindi proviamo a pensare modalità ed effetto semplificando la moltitudine contrattuale .

Non si può dire che siano tutti uguali, come non si può dire che siano tutti diversi. Ci sono dei doppioni che sembrano esistere solo per questioni politiche,  mentre ce ne sono di diversi, sia economicamente che normativamente, che sembrano perfetti per farsi concorrenza. Trovo una profonda discriminazione che a lavoratori che fanno lo stesso mestiere venga riconosciuto un differente controvalore economico per la loro fatica, un diverso trattamento per il riposo di cui tutti abbiamo bisogno ed altre ingiustizie di vario genere.

Equivalenza normativa e salariale deve essere la parola d’ordine. Se è  vero questo allora di contratti ne basta uno e se proprio vogliamo far valere il diritto che si possono introdurre contratti alternativi, la storia ha brutti esempi, facciamolo per creare una sintesi degli undici del bacino metalmeccanico.

Ovvio che il rinnovo in un ambito compatto rende meno agevole la contrattazione alle controparti datoriali consegnando loro uno svantaggio ma d’altronde si tratta di porre rimedio ad uno squilibrio. I Datori di lavoro hanno in mano i soldi ed il lavoro e questo è già un loro punto di forza che si combatte solo con la massa critica. Per dirla semplicemente,  con “unione”.

Altro aspetto interessante è  lo sfoltimento dei contratti da elementi fuorvianti e variabilmente discutibili, quindi chiarezza.  I riconoscimenti economici hanno bisogno di certezze perché su quelle certezze il lavoratore fonda la sua vita. Il lavoratore ha scelto di non fare l’imprenditore per non avere il rischio d’impresa ed in cambio ha scelto il “salario” che non è fortuna economica ma vita dignitosa. I pagamenti in servizi invece, pur sembrando un’attenzione speciale,  in realtà sono solo una truffa.

Sembra di essere tornati al medioevo, quando il Padrone retribuiva dandoti un posto per dormire, un pasto per mangiare, il tempo di riprodurti per migliorare e ringiovanire la sua  manodopera.

Il denaro, che reca in sé  tanti aspetti negativi, ha un vantaggio. È un controvalore che lascia liberi nel suo utilizzo, quindi buoni, previdenza e salute devono tornare una libera scelta dell’individuo mentre adesso, in una sorta di prenotazione di spesa e utilizzo si indirizza parte della retribuzione verso un fine senza che passi niente dalle tasche del legittimo proprietario creando raccolte di risorse economiche che saranno gestite da chi ?

Proviamo a pensare. Enti bilaterali, soggetti esterni ?

Chi sono queste entità ? Organizzazioni sindacali, datoriali, invenzioni politiche che stanno cercando qualcosa da fare per garantirsi la sopravvivenza. Per avere altre fonti di introito che mantengano le strutture oggi in crisi di rappresentanza. Non dimentichiamo che gli iscritti non superano il 30% degli addetti totali e questo ci deve far riflettere sul livello di rappresentatività che non c’è e sul basso livello di gradimento di molta parte dei Lavoratori, ma anche dei Datori per chi li sostituisce ai tavoli di contrattazione. In questo quadro un testo unico sulla rappresentanza tanto promosso e sbandierato da qualcuno ha un effetto escludente, ma non è giusto ne democratico abolire individualità, autonomia e minoranza.

Quindi dire che ci siamo svegliati in un mondo dove chi può  pensa a se stesso e tutti sono in cerca di soldi a discapito altrui, non è  poi cosi fuori luogo.

Da sindacalista  posso certificare che gli apparati attuali non servono a dare e garantire democrazia ma per loro buona parte sono la miglior alternativa ad un lavoro manuale, sporco e faticoso. È una feroce critica alle strutture istituzionali ma questa è la cruda verità e per tanti è molto meglio fare della filosofia da una scrivania che sudare dentro un capannone.

Venendo al dunque e facendo di queste poche righe un indirizzo concreto, direi che la sintesi contrattuale è una priorità da perseguire mettendo in pratica una armonizzazione al rialzo, sia economico che normativo, lasciando il compito al soggetto Stato di creare delle condizioni che ammortizzino perlomeno  parte dei maggiori costi, senza però liberare le aziende dal loro impegno di redistribuzione degli utili  derivanti da nuova efficienza e senza smarcarle dal loro vincolo all’erogazione di un giusto salario coerente con il costo della vita.

Le condizioni, poi, di cui hanno necessità alcune fasce d’impresa per la loro sopravvivenza e la loro crescita, devono essere fatte sulle spalle dei Governi e non sulla pelle dei Lavoratori. Mi vengono a mente gli Artigiani dove i livelli retributivi sono decisamente più bassi  per far sopravvivere il settore ma le Cooperative non sono migliori, non escludendo anche il livello di variabile compartecipazione che vari istituti (INPS ad esempio) ribaltano sui costi aziendali talvolta talmente soffocanti da diventare un freno contrattuale.

In un sistema più semplice e snello si può solo trovare rinnovata voglia di investire e conseguente aumento dell’occupazione. In una riduzione dell’orario si può trovare meno fatica, forse maggior costo, ma più efficienza produttiva. In certezze economiche si può generare meno conflitto e meno necessità di supplenza sociale.

Non vedo grandi controindicazioni in questo percorso tranne posizioni politiche sclerotiche determinate da interessi di parte molto personali.

La via maestra, a mio avviso, può  essere solo semplificazione ed unificazione contrattuale, e su questa via le piattaforme più radicali come quella  USB metalmeccanici, non a caso progettata da alcuni di noi, criticata da molti di coloro che temono di perdere le loro prerogative sindacali, datoriali, associative o politiche e giudicata da questi stessi velleitaria e populista, si pone con semplicità a fianco di chi lotta per sopravvivere dignitosamente  cercando di ripristinare equilibri che il liberismo sfrenato ed il clientelismo politico hanno mandato in default ormai da anni.

Questa analisi nasce nel 2019 e si ritrova oggi a fine 2020 dopo una stagione pandemica che, come e chiaro, è ancora una volta funzionale allo smantellamento dei diritti e delle prerogative acquisite ed una esclusione delle minoranze dai tavoli di discussione e contrattazione. D’altra parte le minoranze inascoltate devono (dobbiamo) smettere di abbaiare ed urlare e pestare i piedi con modalità che ormai non hanno più nessuna efficacia.

Il rapporto fra azione e risultato non può essere un esaurimento di tutte le energie, questo di chiama suicidio, e deve necessariamente prendere in esame nuovi mezzi leciti ed incisivi che rompano il muro di indifferenza ed inascolto che ormai sembra essere la soluzione più  praticata da controparti datoriali, politiche e da gruppi sindacali poco amici. Per dirla in breve ci vuole nuova strategia e nuova azione che eviti di portare ad una stagione di  rinnovi  contrattuali peggiori dei precedenti, anche se sembrava impossibile, dove gli aumenti salariali saranno meno di zero per non dire restituzioni collettive.

Come la storia ci insegna le crisi sono tali a secondo della prospettiva e del punto di vista dal quale si osservano, e in questi frangenti c’e chi cavalca e chi viene travolto dagli zoccoli del cavallo.  Nessun sconto quindi va fatto per amor di coerenza. La classe dei Lavoratori non la difende e non l’ha mai difesa nessuno se non gli stessi Lavoratori e forse vale la pena alzare la testa dalla scatola dove l’abbiamo infilata per vedere il panorama senza nebbie e cambiare modo di pensare e fare le cose.